L’Oodinium è l’agente eziologico responsabile della malattia Oodiniasi che è chiamata anche malattia della ruggine, del velluto o della polvere d’oro. Le dimensioni del protozoo parassita variano a seconda del genere di appartenenza da 50 a 70 micron.
LA FAMIGLIA OODINIUM
I dinoflagellati si trovano comunemente negli ecosistemi acquatici.
Quattro sono i generi finora individuati:
– Amylooodinium (A. ocellatum)
– Piscinoodinium (P. pillularis, P. limneticum)
– Ichthyodinium (I. Chabelardi)
– Crepidoodinium (C. virginicum e C. australe)
Amylooodinium
Amylooodinium ocellatum è il più comune ed importante dinoflagellato dei pesci marini.
Piscinoodinium
E’ morfologicamente simile all’Amylooodinium ed è diffuso nelle acque dolci, P. pillularis nelle regioni europee, mentre P. limneticum in nord America.
Ichthyodinium
E’ anch’esso come l’Amylooodinium un parassita di acque marine, ma in queste parassita uova di decine di specie ittiche (sgombro e sardine in particolare).
Crepidoodinium
C. virginicum e C. australe appaiono più ectocommensali data la loro relativa difficoltà a penetrare in profondità i tessuti dell’ospite per nutrirsene e risultano quindi autotrofi che utilizzano il pesce primariamente come mezzo di ancoraggio.
Crepidoodinium: A trofonte, B e C dettagli del sistema di ancoraggio.
La differenziazione tra gli Oodinidi si basa soprattutto sulla differente morfologia dell’organo di ancoraggio e le differenti modalità di nutrizione. Tutti e tre i generi patogeni di questo protozoo producono sintomi, ed hanno un ciclo di vita simili a quello dell’Ichtio.
Diversamente da questo, l’Oodinium (di acqua dolce, ma non quello di acqua salata) contiene cloroplasti, responsabili della produzione di clorofilla da energia fornita dalla luce solare, e per questo motivo è da taluni erroneamente classificato come un’alga.
L’Oodinium usa l’energia della sintesi clorofilliana nei momenti di quiescenza metabolica (cioè in assenza di un ospite). Quando il protozoo trova un ospite l’energia di sussistenza è invece fornita dai suoi tessuti ai quali esso si ancora per mezzo di estroflessioni della membrana cellulare.
Esistono molte specie di flagellati che prendono parte della normale fauna intestinale dei pesci e tra questi anche alcuni dotati di movimenti autonomi che vivono nella mucosa dei pesci senza arrecare loro danni, ma in condizioni particolari, quali stress o diminuite difese immunitarie del pesce, questi possono diventare patogeni. La Giardia lamblia è ad esempio un protozoo flagellato umano che può causare diarree acute che possono diventare croniche e generare disordini nutrizionali in soggetti immunocompromessi (bambini, anziani).
L’Oodinium marino (Amyloodinium) è presente, in una forma capace di nuoto libero, nella maggior parte degli ambienti d’acqua salata. E’ estremamente resistente e può sostenere un’ampia varietà di gradazioni di salinità (peso specifico) e di fluttuazioni di temperatura. Tuttavia il numero degli organismi che si trovano nell’acqua marina è molto basso. Purtroppo questi piccoli numeri possono esplodere rapidamente e diventare importanti ed infettivi quando trovano le condizioni adatte alla loro riproduzione cioè ripetuti stress che causano bassi livelli di immunità nel pesce.
Amyloodinium: H cellula ospite, AP piano di ancoraggio, R rizoidi, ST stomopode tubulare, VF pellicola, F flagello, FV vacuoli alimentari, N nucleo.
Piscinoodinium sp. svolge la sua azione parassitaria infestando dapprima le branchie (in quanto tessuti morbidi e facili da attaccare), poi la pelle, le pinne e nei casi più gravi può raggiungere anche gli occhi. Si nutre degli epiteli dell’ospite causandone la distruzione e provocando così infiammazioni croniche, emorragie e necrosi dei tessuti. La prima difesa dell’organismo consiste nell’abbondante produzione di muco e nel tentativo di rigenerare gli epiteli distrutti.
Piscinoodinium: H cellula ospite, R rizocisti che si suppone migrino verso il disco di ancoraggio, R’ rizocisti posizionate, Mf microfibrille, N tacca che segna la fine del disco di ancoraggio, C cloroplasto, S granuli di amido, Mi mitocondrio, Mt microtubulo nastriforme, F flagello, T teca, L lacuna subtecale.
Esternamente la malattia produce dei puntini bianchi che si distribuiscono in prevalenza alla parte anteriore del pesce. Questa evidenza deve essere distinta da quella prodotta dalla malattia Ictioftiriasi (Ictioftirius Multifiliis) i cui punti bianchi appaiono di dimensioni maggiori.
PATOGENESI E CICLO BIOLOGICO
Il ciclo biologico dell’Oodinium è molto simile a quello dell’Ichtio, ed ha inizio quando il parassita maturo (Trofonte) si incista (divenendo Tomonte), si accresce nutrendosi dei tessuti dell’ospite poi lo abbandona e cade sul fondo della vasca. Il Tomonte si divide producendo numerose decine di forme immature (Dinospore). Queste possono sopravvivere nell’acqua fino a 24 ore, se nel frattempo non hanno trovato un’ospite, muoiono. Vi sono tuttavia delle evidenze che lo stadio riproduttivo del parassita sia in grado di sopravvivere nel substrato per qualche tempo prima di produrre spore sotto lo stimolo di determinate condizioni favorevoli.
Ciclo biologico dell’Oodinium nei pesci: A trofonte, B tomonte, C dinospore.
Una volta trovato l’ospite, l’Oodinium perde i flagelli, e vi si attacca mediante pseudopodi che penetrano in profondità nei tessuti. L’intero ciclo ha una durata da alcuni a 14 giorni a seconda della temperatura (a 24 °C vi è la massima velocità di riproduzione).
Il parassita danneggia il pesce tramite i filamenti plasmatici simili a radici (Rizoidi) che penetrano nelle cellule epiteliali e ne staccano dei pezzi. Questi vengono assunti dal parassita come alimento. L’insieme delle cellule nella pelle viene distrutto, il tessuto muore. Sulle lamelle branchiali possono addirittur
a manifestarsi emorragie. Un’infezione da Oodinium può protrarsi per molte settimane, finché la pelle non è massicciamente farcita di parassiti e si stacca. I pesci muoiono lentamente.
I pesci giovani sono maggiormente suscettibili alla malattia e l’alta velocità di replicazione mette a serio rischio di morte tutto il laghetto se non si interviene per tempo. Talvolta alcuni pesci sopravvivono e, per un motivo non ancora chiarito, sembrano sviluppare una resistenza al parassita. Ad ogni modo anche i pesci adulti se non sono trattati con adeguati farmaci finiscono per soccombere.
SINTOMI
Senza alcun dubbio, qualità di acqua non idonee al pesce rappresentano la causa primaria di ogni infezione parassitaria nei pesci ed in questo l’Oodinium non fa eccezione.
I pesci colpiti cercano ossigeno in superficie affannosamente mostrando respirazione frequente, oppure, in condizioni più avanzate della malattia, giacciono sul fondo del laghetto riversi su un lato. Nei momenti iniziali della malattia il pesce può presentare dei movimenti a scatto o degli sfregamenti contro oggetti di arredo, nel tentativo di liberarsi del parassita.
Le pinne del pesce appaiono richiuse sul corpo che appare ricoperto da fini puntini bianchi con un effetto che ricorda la polvere. Questo aspetto risulta più difficile da osservare se il pesce non è messo in condizioni di luce idonee (per esempio in controluce).
Le branchie presentano iperproduzione di muco che nelle fasi avanzate della malattia si estende a tutto il corpo potendosi osservare anche sfilacciature della pelle prodotte dall’erosione della pelle da parte del parassita.
DIAGNOSI
La diagnosi della malattia può essere fatta sia in base ai segni esterni (molto aspecifici e quindi comuni a molte forme parassitarie) presentati dal pesce, come anomalie del nuoto, pinne chiuse, aspetto caratteristico della pelle che presenta moltissimi puntini bianchi.
L’osservazione microscopica fatta tramite preparazione di un vetrino, per raschiamento della pelle, mostra il parassita in vari stadi. Le cisti contengono numerosi granuli sferici di dimensione omogenea, di colore verde-marrone e sono attaccati allo strato esterno di pelle del pesce. In alcuni esemplari una grande zona colorata in chiaro nel centro dell’organismo è riferibile al nucleo. Le coperture chitinose della ciste sono spesso costituite da una parete spessa.
I rizoidi non sono normalmente visibili ma una vista laterale dell’organismo può mostrare i segni di un’estensione incolore dove avviene il collegamento all’ospite. Per fare una corretta diagnosi dovrebbero essere evidenti numerosi esemplari del parassita in modo da poter evidenziare tutte le sue peculiari caratteristiche a seconda dello stadio di evoluzione e perchè la sua morfologia può confondersi con quella di altri tipi di parassiti.
Le fasi mobili dell’Oodinium non sono facilmente visibili. La presenza o l’assenza di dinospore mobili, nell’osservazione dei dinoflagellati mobili non dovrebbe essere considerata come diagnosi della malattia. Poiché forma e dimensione delle cisti variano molto da genere a genere, benchè possano essere utile nel discriminare i vari generi di Oodinium.
TRATTAMENTO
Il parassita ottiene parte del suo nutrimento dai cloroplasti e da depositi interni di amido, quindi un ruolo nel suo trattamento può essere rappresentato dall’oscuramento, se il pesce è trattato singolarmente in una vasca di quarantena.
Il trattamento deve essere tempestivo e può avvalersi di numerosi rimedi farmacologici.
Il rialzo della temperatura oltre i 33-34°C inibisce il parassita, ma spesso mette anche in difficoltà la koi che a queste temperature non riesce a rimanere indifferente, per mancanza di ossigeno in una condizione in cui ne è maggiormente richiesto. Alzare la temperatura di qualche grado può diventare utile in quanto il ciclo biologico del parassita si accorcia permettendo al medicinale di agire in tempi più brevi. Ma è bene ricordare che a temperature più alte anche l’aggressività del parassita, rappresentata dal suo elevato numero di riproduzioni, aumenta. Quindi l’aumento della temperatura deve essere attivato solo a trattamento iniziato.
La terapia con Verde Malachite è quella che può dare i risultati migliori, ma è un farmaco che va dosato con estrema attenzione in quanto tossico (cancerogeno) sia per il pesce che per le persone che lo manipolano.
Un trattamento di sicura efficacia ed al contempo di sicurezza è rappresentato dalla associazione di Acriflavina ed altri medicinali (aminoacridina, formalina).
Il Blu di Metilene può essere un efficace supporto terapeutico soprattutto per le sue eccellenti capacità di trasporto dell’ossigeno ai tessuti.
Tutti questi trattamenti, a vario titolo, sono pericolosi per i batteri del filtro ed andrebbero fatti in vasca di quarantena.
Il Sale è efficace solo parzialmente nelle forme parassitarie da acqua dolce (mentre non lo è affatto in quelle di acqua marina) in quanto è particolarmente resistente ad alte concentrazioni di quest’ultimo. Può essere dosato a 6 gr/litro per tutta la durata del ciclo di riproduzione del parassita. Può essere usato per trattare l’intero laghetto solo lontano dal periodo germinativo delle piante (se eventualmente il laghetto ne fosse arredato). Il miglior effetto col sale lo si ottiene in associazione con gli altri farmaci sopra elencati.
Tutti i trattamenti devono essere protratti fino alla completa scomparsa del parassita.